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storia delle flanaess. parte I: i miti di creazione

 PARTE I: L’ETA’ DEL MITO

 

 Cosa accadde agli albori non c’è dato saperlo con certezza; i bardi ed i saggi di tutte le razze conoscono diversi miti sulla creazione del mondo e sulla storia dei primi, antichi tempi. A complicare ulteriormente la situazione, o forse a renderla ancor più misteriosa ed interessante, sono le chiese ed i culti diffusi nel nostro continente: ognuno conserva dei racconti mitici dove una divinità o un pantheon sembrano avere un ruolo centrale o prioritario rispetto agli altri.

 Per cercare di fornire un quadro completo sì da poter ricostruire il più possibile le vicende dei primi tempi, esamineremo in principio i miti delle razze principali che popolano la nostra terra:

 

Miti elfici:

 

 I miti del popolo degli elfi sono forse quelli più vicini alla realtà e certamente quelli che si sono conservati più inalterati rispetto ai miti di altre razze dalla vita più breve. Ciò sia per la grande importanza della storia nella cultura elfica, sia per il minor numero di generazioni che si sono susseguite sino ad oggi, ed infine grazie alla ininterrotta civiltà che questa razza ha prodotto ( a differenza di altre che hanno vissuto imponenti cataclismi, dispersione del sapere, fusione con altri ceppi razziali etc…). Sfortunatamente però, gli elfi prestano poca attenzione alle altre razze e dai loro miti emerge un quadro etnocentrico fin troppo spiccato che ci impedisce di collocare gli eventi di questo popolo in relazione con gli altri. Inoltre, la loro cultura, fin dall’alba della creazione, ha sempre dato maggior peso alla trasmissione orale rispetto a quelle scritta ed al genere epico-mitico rispetto a quello storico-narrativo, pertanto non solo rispetto agli eventi antichi, ma anche riguardo a quelli più moderni è difficile distinguere gli elementi “estetici” da quelli più strettamente concernenti i fatti.

 Ma iniziamo la nostra narrazione…

 

 

Quando lassù non v’era bellezza

quando laggiù non v’era malizia

e nel mezzo un vuoto silenzio.

 

Dal Nulla nel centro di Niente

Perfetti, già fatti giunsero a vita

I Signor, gl’Immortali, gli Dei.

 

Una volta sola, prima del Tempo

Una volta sola, al principio di esso

Solo una volta crearono il Tutto.

 

In principio fu l’infinito argento sidereo

Che è l’Ovunque ed il Nessun-Luogo

Che è lo Camera della danza degli dei.

 

In esso si riunirono gli Altissimi

In quel luogo che non è luogo

Iniziò la Grande Opera senza fine.

 

Una volta sola, prima del Tempo

Una volta sola, al principio di esso

Solo una volta crearono il Tutto.

 

Per prime furono le Sei Radici

I Sei Semi dell’Albero della Vita

Le Sei Note del Primo Canto.

 

Terra ed Aria vennero ad essere

Fuoco ed Acqua furono pronunciate

Luce e Tenebra divennero realtà.

 

Una volta sola, prima del Tempo

Una volta sola, al principio di esso

Solo una volta crearono il Tutto…”

 

 Così comincia il più antico canto elfico sulla creazione, e sebbene nella lingua comune non

conservi la bellezza dell’originale, pur tuttavia ci dà un’idea chiara della creazione del cosmo secondo queste sagge genti. Secondo l’antico canto, gli dei primordiali emersero dal Vuoto già adorni di tutto il loro potere, e con esso, quando ancora non v’erano fazioni o parti, crearono lo spazio infinito del Piano Astrale. Lì si riunirono e posero in opera la creazione del cosmo.

Prima fu creata la materia con cui modellare l’universo: è pervennero all’esistenza i piani interni ( il fuoco, l’acqua, l’aria, la terra, l’energia positiva e quella negativa ). Il meraviglioso poema continua con la creazione del mondo stesso: il piano materiale ed i due piani di collegamento con i due piani interni ( Etere ed Ombra vengono chiamati ), per completezza riportiamo la terzina che li riguarda:

 

“E due sentieri per giungere al mondo

uno d’Etere puro, di nebbia fumosa

l’altro d’Ombra densa di luce e buio”

 

 Gli immortali erano tutti presi dalla loro opera e tutti forgiarono il mondo, ognuno ponendo in esso dei doni, ognuno chiamando giurisdizione su una parte di esso; solo uno degli Antichi non volle prendere parte alla creazione, ritirandosi nel vuoto osservava silenzioso, ma il poema non ci fornisce il nome di questa oscura entità.

 A questo punto il mito elfico sembra concentrarsi solo su un gruppo di divinità che si unirono con lo scopo di abbellire il mondo e di donargli grazia e perfezione, essi vengono comunemente chiamati i Seldarine, che nell’idioma elfico vuole dire “Fratelli e Sorelle della Selva”. Essi, sotta la guida di Corellon Larethian introdussero l’armonia e la bellezza nel creato ed a compimento di ciò costruirono dei “vasi” da colmare del loro stesso spirito, pronti a gioire del mondo creato.

 Il poema si interrompe con la creazione dei “vasi” e con la loro lunga descrizione, pur non riportandola ricordiamo come ogni parte del corpo di questi “non ancora elfi” viene paragonata ad un elemento del mondo naturale ( viene detto che gli occhi vengono creati con concentrando la magia dell’arcobaleno in piccoli cristalli di rugiada; che i lunghi capelli sono i fili di seta dei bachi appena divenuti farfalle  etc…).

 

I bardi elfi considerano il canto detto “La Guerra degli dei” come il naturale continuo di quello finora preso in esame, e questo poiché esso comincia col narrare dell’infusione degli spiriti nei “vasi” e della nascita degli elfi. Questo mirabile evento ebbe luogo, secondo il poema, a causa della profonda invidia che uno degli immortali provò dopo aver scoperto l’opera dei Seldarine: “i vasi”.

 Il canto inizia con un lungo proemio che è in realtà un inno alla potenza ed alla saggezza di Corellon Larethian, per poi continuare narrando di come si formarono gli Anti-Seldarine, ossia un gruppo di immortali guidati da Grumush ( nome elfico del dio Gruumsh ), che non volevano dividere il dominio del mondo con le creature pronte a prendere vita che i Seldarine avevano creato. Paradossalmente questi  saggi immortali non avevano ancora trovato il modo di infondere una coscienza pari alla loro nei “vasi” e fu proprio l’odio dei seguaci di Grumush a risolvere il problema.

 Quando il futuro padre degli orchi intimò ai Seldarine di distruggere la loro opera, i Signori degli elfi furono irremovibili: nulla avrebbe cancellato la meravigliosa opera. Nascosero però al crudele immortale che non avevano ancora trovato il modo di “risvegliare” gli elfi.

 Fu la guerra.

 A questo punto segue la parte più lunga del poema: un interminabile serie di quartine che descrivono la lunga battaglia tra Grumush e Corellon. Questa parte del canto è probabilmente frutto di interpolazioni posteriori, difatti presenta molte descrizioni tecniche dell’arte della spada e nomina una serie di incantesimi scagliati dal signore dei Seldarine. Sembra quasi un manuale, in forma poetica, dell’arte di fondere spada e magia in un’unica danza di battaglia. Questa sezione è spesso considerata l’Atto di Fondazione dello stile dei “Cantori della Lama”.

 

 Ma veniamo al punto più importante del poema: la fine della battaglia e la creazione degli elfi.

 Lo scontro tra i due antichi immortali si conclude con la menomazione di Grumush che perde uno dei suoi occhi divenendo da allora noto come “Grumush Monocolo”, o “Grumush l’Orbo” e di come in preda al dolore si nascose nei profondi anfratti del cosmo ( è la prima volta che ricorre il nome di “Abisso” ). L’odio tra ellfi ed orchi sembra quindi anteriore alla loro stessa creazione e facente parte con la loro propria natura.

 Durante la lunga battaglia il sangue delle ferite di Corellon si era mescolato con le lacrime di Sehanine Moonbow, la luna piena e con la terra stessa; I Seldarine allora raccolsero questa possente sostanza e la posero nei “vasi”, infine tutti insieme vi soffiarono dentro il loro stesso spirito.

 Per questo motivo gli elfi si considerano figli degli immortali, legati alla magia della luna e una cosa sola con la terra.

 Questo momento viene indicato dagli elfi come il “Risveglio”.

 Vi riportiamo il passo in questione:

 

Nella notte oscura, con speme ormai sopita

Il Signor ferito retto da gran core impavido

Donò il   Sang Raal alla terra tanto calpestata

E pianse la bianca Luna sul lagrimoso lido.”

 

 Segue l’atto ultimo della battaglia e poi:

 

Versaron li Signori Amati quel rio di luce

neli Vasi già formati con le sapienti mani

e lo  spirto loro infuser nella vita in nuce

ognun mescendo li suoi graziosi doni.”

 

 Viene poi descritto il dono che ogni immortale concesse agli elfi, che però tralasciamo non essendo pertinente all’attuale contesto.

 Gli elfi raccontano poi che le altre divinità o ammirando il lavoro dei Seldarine, o disprezzandolo, vollero creare delle creature di loro mano, ma impiegarono molto meno tempo e sapienza nell’opera, è per questo che le altre razze difettano, agli occhi degli elfi, di doni quali grazia, lunga vita e sapienza.

 

 I Seldarine posero poi gli elfi sulla terra e gli mostrarono i giardini che avevano creato per loro, le foreste, le profonde valli e belle coste spumeggianti d’onde. Allora gli elfi erano un solo popolo, una sola gente; non v’era tra loro differenziazione alcuna. Gli elfi si riferiscono a questo evento primordiale chiamandolo “Il Risveglio”. La loro storia sulla terra però appartiene a quella che viene comunemente chiamata Età delle Leggende.

 

 

Miti nanici

 

 I racconti mitici dei nani presentano numerose variazioni da reame a reame, sembra infatti che con la fondazione di un nuovo regno nanico, i sacerdoti ( i veri custodi del sapere dei nani ) introducano col tempo delle varianti, o delle semplici interpolazioni, che pongono la fondazione di quella data comunità in un tempo mitico o in relazione con qualche divinità o antico eroe. Ciò nonostante è possibile ricostruire una narrazione della creazione abbastanza omogenea.

 Va inoltre sottolineato che le leggende ed i miti di questo popolo vengono tramandati non oralmente con l’ausilio della musica come per gli elfi, ma attraverso complesse e allo stesso tempo sintetiche iscrizioni runiche, quasi ad essere un promemoria che i sacerdoti utilizzano per le loro narrazioni. E’ uno spettacolo indimenticabile vedere un sacerdote di Moradin, dinanzi ad una lastra di pietra levigata recante strane rune, leggere quei pochi simboli ed iniziare una lunga narrazione per il suo pubblico silenzioso ( di solito giovani nani da istruire ).

 

 I nani focalizzano i loro miti sulla creazione della loro razza ad opera di Moradin, affiancato dalla saggia consorte Berronar, e più tardi da altri immortali conosciuti tutti insieme come i Mordinsamman. V’è poco spazio per la descrizione del creato e della nascita delle altre razze.

 Tutti i clan sembrano concordare nell’attribuire a Moradin “Il Forgiatore di Anime” la creazione del mondo. In vario modo è ritenuto il responsabile della forma del creato così com’è, e non v’è menzione di altre divinità che possano aver preso parte a quest’atto creativo originario.

 Vi sarebbe poi da discutere se effettivamente gli antichi e saggi nani considerassero Moradin un Creatore o più probabilmente un Forgiatore, un Demiurgo che impresse la sua volontà ed il suo potere nelle montagne e nella pietra. Si deve infatti considerare che la runa che si legge nelle iscrizioni più antiche è sempre quella relativa al concetto di “forgiare”, “plasmare”, “dare una forma”, “rendere solido e stabile”; intesa in questo modo la figura di Moradin potrebbe collocarsi tra gli Antichi Immortali di cui parlano i miti elfici e che diedero forma alla creazione, traendola dal Nulla; in particolare il Patrono dei nani potrebbe essere stato l’ideatore ed il forgiatore delle catene montuose, dei metalli e di quanto è ritenuto vitale per la razza nanica.

 

 Un altro aspetto singolare dei  miti nanici è quello di ritenere che Moradin fu il primo tra gli immortali a volere dei figli a sua immagine, i nani appunto, ma che lavorò in segreto nella sua forgia per lunghi eoni e solo quando ebbe finito pose in essere la sua opera. Trovò però il mondo già abitato dagli elfi e questo lo rese sospettoso che uno dei Seldarine avesse spiato il suo lavoro.

 Questo mito sembra di origine più recente ed è difficile non considerarlo una risposta alla pretesa degli elfi di essere i “priminati”; appare inoltre il frutto di un’ipostasi mitopoietica del sospetto che la razza nanica ha nei confronti di quella elfica.

 

 L’ultima cosa degna di nota è un racconto molto comune tra i nani che considera la nascita degli gnomi come il frutto della separazione di un antico dio nanico della magia, Garal ( oggi Garl ), che condusse a sé una parte del popolo dei nani e li riplasmò per renderli più adatti all’uso dell’arte magica. Anche in questo caso il mito sembra più un modo per riportare ad un periodo mitico la millenaria amicizia tra nani e gnomi.

 

 Non ci dilungheremo oltre sui racconti dei nani, poiché, come abbiamo già detto, poco ci dicono sulla creazione del mondo, essendo incentrati principalmente sulla fondazione dei vari istituti comunitari del “popolo tozzo”.

 

 

 

 

Miti degli gnomi e degli halfling

 

 Sia chiaro che non accomuniamo le due razze perché condividano miti o narrazioni sulla creazione del mondo, ma più semplicemente perché entrambi questi popoli mancano assolutamente di un apparato mitico che spieghi la nascita di Oerth! Per quanto abbiamo potuto indagare, e nonostante i nostri molti viaggi in quelle terre dove essi vivono numerosi e da tempi antichi, non abbiamo trovato nulla. Tutti i miti che riguardano questo popolo sembrano trattare esclusivamente vari aspetti sociali o religiosi delle razze in questione. Ad esempio il mito più antico degli gnomi narra della lotta tra Garl e il suo malevolo gemello, essa è un chiaro mito didascalico volto ad insegnare la differenza tra bene e male. Per gli halfling la cosa si complica oltremodo: hanno infatti la tendenza a modificare continuamente i loro miti e le loro leggende tanto da avere una quantità immane di racconti simili ma che differiscono in vari punti…è assolutamente impossibile risalire ad una versione antica o primaria di questi miti. Su una cosa sembrano concordare, però, ossia sul fatto che il piccolo popolo sia stato “trovato” da Yondalla mentre vagava senza una guida divina su Oerth, e da costei sia stato adottato.

 

 

Miti dei Flan

 

 I più antichi miti del popolo dei Flan sono custoditi ed insegnati dai membri dell’Antica Fede, quei sacerdoti che seppero creare un’organizzazione unica che riunì i druidi di tutte le razze senzienti.

 Secondo questi racconti e questi poemi in principio erano solo tre esseri/forze: Beory, la stessa Oerth; Pelor, la luce, il sole, la forza vitale; ed infine Nerull, il gemello oscuro di Pelor, la tenebra, la morte.

 Ad un’attenta analisi si comprende che queste divinità, oltre ad essere dei principi creativi, rappresentano anche le tre forze cosmiche della Neutralità, del Bene e del Male.

 I druidi più saggi ed anziani dei Flan, parlano anche di un’altra entità: il Chaos Primigenio, Colui che Attende nel Vuoto. Poco si dice di questo essere, ma sembra chiaro che esso si opponga alla creazione stessa, un’entità di pura follia e distruzione. Probabilmente si tratta di quello che poi diverrà noto come Tharizdun.

 

 Gli antichi racconti narrano poi che Beory desiderava unirsi in matrimonio con Pelor, ma sapeva che ciò avrebbe destato l’ira e la gelosia di Nerull. Decise allora di sposare entrambi ma stabilì che avrebbe generato figli solo da Pelor. Sperava così di mantenere la pace e l’equilibrio ed allo stesso tempo di portare la vita su Oerth. I due fratelli acconsentirono e stabilirono che la Madre Terra avrebbe trascorso metà della giornata con il luminoso Pelor e l’altra metà con l’oscuro Nerull. Per i Flan questo rappresenta l’alternanza del giorno e della notte.

 Pelor e Beory generarono molti figli, per prime furono le “cinque stelle erranti”, ossia Rao, Berei, Allitur, Obad-Hai e Zodal; poi vennero tutte le piante e tutti gli animali che oggi popolano il nostro mondo, ed infine gli stessi Flan.

 Riportiamo a tal proposito alcuni versi tratti da una ballata flan, tradotti in comune:

 

 “Danza con noi giovane donna,

danza con noi madre feconda,

danza per sempre porta la vita,

danza così non fu mai veduta.

 

Prendi per mano il giovane sposo,

con giri e con salti fallo gioire,

con braccia possenti scaldi il tuo cuore,

e porti nel grembo il vitale calore.

 

Danza con noi giovane donna,

danza con noi madre feconda,

danza per sempre porta la vita,

danza così non fu mai veduta.

 

Nacque così stirpe feconda,

di stelle di luce assai profonda,

cinque signori di mente avveduta

portar nuova luce e nuova vita.”

 

 Ma in Nerull crebbe la gelosia e con l’inganno fecondò il fertile grembo di Beory. Nacquero così due gemelle: Luna e Celene. Si narra che l’oscuro signore stese un manto di tenebra sul sonno di Pelor, e prese il suo posto nel talamo con Beory.

 Ancora oggi i druidi flan venerano la Terra ( Beory ), il Sole ( Pelor ), le stelle erranti e la Notte ( Nerull ), sia come divinità che come forze della natura.

 

 

 

 Miti degli Oeridiani

 

 I miti della creazione di questo popolo fiero e combattivo si sono in gran parte fusi con quelli dei Flan, e ciò a causa della convivenza instauratasi tra le due razze dopo i Cataclismi Gemelli.

 E’ probabile che le prime tribù oeridiane insediatesi nelle Flanaess abbiano assorbito il patrimonio culturale ed i relativi canti e poemi dei Flan riguardanti la creazione poiché mancanti di miti adeguati a spiegare la nascita del mondo. Sono rimaste intatte, invece, le tradizioni relative le divinità proprie di questo popolo e la nascita della prima tribù oeridiana. L’acquisizione di alcuni miti flan si è verificata in modo naturale laddove al “Sol” oeridiano si è sostituito Pelor, mentre alla “Madre Terra” è stato dato il nome flan di Beory ( con relativa identificazione ).

 Il mondo, dunque, insieme a tutte le sue creature è frutto di Pelor e Beory, ma accanto ad essi, al principio dei tempi, vi erano altre divinità: Velnius e suo fratello Procan, e Telchur con le sue tre figlie, Wenta, Sotillion ed Atroa.

 Su queste divinità e sulle loro passioni si incentrano tutti i miti oeridiani.

 

 Dopo che il mondo venne ad essere Velnius prese per sé i cieli mentre suo fratello Procan pose il suo dominio sui mari e sugli oceani. Ben presto Procan si scelse una compagna; nei poemi più antichi essa viene chiamata “la fanciulla dei flutti”, più tardi questa benevola divinità venne identificata con la dea Osprem ( vedi miti dei Suel ). Velnius fu in un primo tempo molto felice per suo fratello, ma ben presto crebbe l’invidia nel suo cuore poiché anch’egli agognava una compagna. Decise allora di rivolgersi al freddo Telchur affinché gli venisse concessa una delle sue tre splendide figlie. Il signore del gelo però non aveva compassione nel suo cuore e rifiutò di privarsi di una delle sue splendide fanciulle.

 La tristezza prese dominio nel cuore del celeste Velnius e così i cieli si incupirono e le continue lacrime del dio, un’incessante pioggia sul mondo, non lasciavano tregua alle creature di Pelor e Beory. Madre Terra allora si recò dal dio del gelo e lo scongiurò di trovare un accordo con Velnius affinché la vita non abbandonasse il mondo per sempre. Telchur acconsentì e propose un patto al dio del cielo: per novantuno giorni gli avrebbe concesso la più giovane delle sue figlie, Atroa; per altri novantuno Sotillion; per altri novantuno la più anziana, Wenta; ed infine per i restamti novantun giorni sarebbe stato solo e Telchur avrebbe chiamato a sé tutte e tre le sue figlie. Velnius acconsentì. La sua prima moglie fu Atroa, giovane e bella, ella portò gioia e speranza nel cuore di Velnius, e così i cieli furono presto sgombri di nubi e la luce calda di Pelor potè nuovamente scaldare la pelle dell’amata Beory. Poi venne Sotillion, bella e fiera e spesso in disaccordo col marito. Poi giunse Wenta, la più matura ed anche colei con il quale Velnius ebbe maggior accordo. Il periodo più freddo dell’anno, quando il cielo è cupo e l’aria gelida, Velnius è solo e triste, e attende il ritorno della giovane Atroa.

 

 Questo racconto è sicuramente uno dei più antichi miti degli Oeridiani, e dal quale si evince la centralità del ciclo stagionale per una cultura ancora primitiva e tribale.

 I miti successivi, oltre ad essere meno antichi nella composizione, risultano anche più legati a fenomeni sociali complessi e propri di una cultura più evoluta.

 

 In accordo con tali racconti Velnius ebbe diversi figli e figlie dalle sue mogli.

 Da Atroa generò i due fratelli Celestian e Fharlangan, e quindi Delleb e Pholtus pieni dello spirito libero della madre, e quindi Delleb e Pholtus. Da Sotillion i due gemelli Heironeous ed Hextor, entrambi fieri, ma l’uno pieno d’onore quanto l’altro di sete di potere. Da Wenta dell’abbondanza ebbe più figli che dalle sue sorelle: Zilchus patrono della ricchezza ed Erythnul della furia cieca furono i primi, ma Wenta non fu contenta del suo secondo figlio e quanti generò in seguito non ebbero il manto della divinità. Essi furono i primi Oeridiani, e costituirono la prima tribù.

 

 

 Miti dei Suel

 

 Il popolo Suel mostra di possedere un sistema di miti quanto mai omogeneo e ben organizzato, a riflettere l’amore per l’ordine e la perfezione di questa razza.

 

 In accordo con i trattati ben conservati che raccontano gli albori della storia del mondo, dopo che il mondo e tutte le sue creature furono partorite dalla Terra e dal Sole il caos regnava nel mondo, non v’era ordine in nessun luogo e così Lendor, uno degli Antichi decise di infondere la Legge nel creato.

 Così, deciso nel suo proposito, egli volse in principio il suo sguardo nel cielo, ricolmo d’uccelli d’ogni specie e di meravigliose e multiformi nubi, e fu lì che egli vide il suo primogenito: e Phaulkon pervenne all’esistenza.

 Volse quindi il suo sguardo pregno di potere tra i flutti e tra le creature che si celano nei mari e pervenne all’esistenza la sua prima figlia, Osprem.

 Ancora guardò le montagne alte e rocciose e Fortubo e Jascar aprirono per la prima volta gli occhi. L’occhio di Lendor vide poi le bestie tutte che camminano sulla terra e nacque Llerg. Pose attenzione allora agli insetti che volano nell’aere e che strisciano sul terreno e Bralm venne generata. Egli osservò tutto quanto aveva bellezza nella natura e pose in essere Phyton. Il suo sguardo esplorò i sentieri della magia e la legge della morte e vide Wee Jas. Infine, volse i suoi occhi sapienti nell’oscurità delle caverne e in essa vide Beltar. Questi erano i suoi figli con cui porre ordine nel cosmo.

 Lendor poi vide che tra le crature partorite dal seno di Beory vi erano degli umani, ma erano primitivi e disorganizzati, decise allora di prendere per sé una tribù di uomini, di riplasmarli e di condurli alla civiltà. Furono questi i primi Suel.

 Come la cultura e l’ordine si facevano strada nel suo nuovo popolo, Lendor vide in essi nuovi figli da condurre all’esistenza: nell’amore per la musica, nel desiderio di conoscenza egli vide Lydia; nell’ ambizione e nella sete di ricchezza vide Xerbo. Tutto sembrava seguire i piani di Lendor, tutti obbedivano alle leggi della sua clessidra.

 Poi il Signore del Tempo vide altri figli, una progenie che non avrebbe voluto generare.

 In primis egli si accorse che vi era qualcosa di sbagliato in Beltar: sua figlia era colma di malizia e malvagità. Pieno di timore allora volse lo sguardo alla sue creature, alla nuova tribù dei Suel. Ciò che vide fu il rischio e l’azzardo, e fu Norebo. Guardò poi nei cuori del suo popolo: in alcuni vide menzogne ed inganni, e fu Syrul; in altri vide il veleno, l’assassinio ed il fuoco distruttore, e fu Pyremius.  Non volendo più vedere oltre Lendor si volse indietro per guardare i suoi primi figli, e pieno d’amarezza realizzò che solo Bralm, Fortubo, Jascar e la sua amata Wee Jas avevano obbedito ai suoi precetti. Tutti gli altri erano stati corrotti dalle parole ricolme di malizia di Beltar, chi più, chi meno. Pieno d’angoscia e amarezza Lendor sollevò la sua spada fiammeggiante e con essa sigillò per sempre i suoi occhi; così non avrebbe mai più generato figli. L’unica divinità Suel non nata da Lendor fu Kord, frutto di un’unione  tra Syrul e Phaulkon, unione voluta dal solo Syrul ed ottenuta con l’inganno.

 

Molti trattati Suel commentano questi eventi primordiali e cercano di trovare in essi un significato metaforico, non ci dilungheremo nell’esposizione di tali noiosissimi commentari anche perché li riteniamo un futile esercizio della logica umana.

 

 

 Miti dei Bakluniti

 

 Questo popolo dalla grande fede e lunga storia ha elaborato una complessa teologia che però trae origine da una storica tradizione esegetica di antichi miti e racconti. In questa sede non ci preoccuperemo di analizzare la loro complessa speculazione teologica ed invece risaliremo a quei miti che ne costituiscono il privilegiato elemento di studio.

 

 Più antica d’ogni dio, più antica del mondo, prima che ogni pensiero fosse formulato, era Istus, la Tessitrice del Destino. Quando il mondo pervenne ad essere ella ne aveva già determinato le sorti, e contemplava serena e imperturbabile la fitta trama del creato. Allora i cieli erano vuoti e la terra arida e deserta.

 Decise allora di dare inizio all’opera e in un giorno tessé il firmamento in alto affinché a tutti fosse chiaro il destino del mondo. E gli astri compirono il primo giro.

 Nel secondo giorno volse il suo sguardo alla nuda terra e dal cielo stellato lasciò cadere un filo di seta azzurra. Esso attraversò tutti gli strati celesti ed infine tocco il suolo: lì sgorgò la prima sorgente e con essa la divina Geshtai. La nuova nata volse subito il suo sguardo in alto, alla divina madre, e scorse nella trama celeste fiumi, laghi, sorgenti e quanto rende la terra fertile ed atta alla vita. E gli astri compirono il secondo giro.

 Nel terzo giorno la Dama Azzurra percorse la terra e ovunque posasse i suoi nudi piedi fonti, piante, fiori, e quanto dà frutto e legname coprì il suolo. Quando giunse alla sacra fonte donde nacque ella sedette a riposare ed a contemplare la sua opera. E gli astri compirono il terzo giro.

 Nel quarto giorno Geshtai volse ancora lo sguardo in alto e nella trama vide tutte le bestie che calcano il suolo, e gli uccelli che volano tra le nubi, e i pesci che nuotano in fondo alle acque.   Bagnò allora l’argilla del suolo e plasmò con essa ogni creatura. Raccolse poi in una coppa l’acqua della Prima Fonte e con essa infuse in loro la vita. E gli astri compirono il quarto giro.

 Nel quinto giorno le fiere coprirono il mondo e le loro grida raggiunsero il cielo; e gli uccelli si moltiplicarono e resero l’aria ricolma dei loro versi; e non vi fu più pace nel mare perché troppe creature l’abitavano. Istus, la Madre vide che ciò minacciava le sorti del mondo e nella sua rabbia trasse un filo nero come la notte e da esso diede vita alla malattia, alla carestia ed alla morte: l’Oscuro Signore Incabulos aprì gli occhi. Subito egli posò il suo sguardo sul mondo e cavalcò tra le fiere decimandole tutte e portando silenzio laddove prima v’era la vita. E gli astri compirono il quinto giro.

 Nel sesto giorno, mentre vita  e morte combattevano la loro eterna battaglia, Istus contemplò ancora una volta la sua opera e vide che per adempiere le sorti del mondo mancava qualcuno che conducesse il creato alla perfezione, che mediasse tra vita e morte, tra luce e tenebra. Dalla trama trasse un filo grigio come l’ombra e giunse Xan Yae. E gli astri compirono il sesto giro.

 Il settimo giorno la nuova nata, la perfetta, la signora delle ombre osservò la grandezza dell’opera della madre e comprese che molte menti e molte braccia avrebbero dovuto lavorare per completarla. Giunse allora dalla prima sorella e le chiese nuove forme d’argilla con mani e piedi per lavorare, e bocca e orecchi per parlare, e mente per pensare. Prese le forme e le depose nel giardino più bello e chiese a Geshtai di bagnarle con l’acqua di vita affinché iniziassero il loro lavoro. Poi chiese ad Incabulos di soffiare su di loro fatica, dolore e malattia, affinché il loro spirito fosse sempre provato e il loro tempo breve per percorrere la via della perfezione. E gli uomini calcarono il mondo e lavorarono e patirono ed in questo trovarono la via della perfezione e la forza di accettare il destino. E gli astri compirono il settimo giro.

 

 Accanto a questo racconto cosmogonico ne appaiono altri, certamente posteriori che vogliono raccontare come l’uomo scoprì l’agricoltura e l’allevamento. Come imparò a costruire dimore per sé e per i propri cari. Ogni attività umana sembra avere un racconto che ne narra la nascita.

 Più interessanti invece sono dei canti successivi che hanno lo scopo di ingraziarsi gli spiriti degli elementi, acqua, terra, aria e fuoco in ogni attività umana. Vi sono inni per l’accensione del focolare, preghiere per la raccolta dell’acqua dai pozzi, odi al vento per placare le tempeste e invocazioni alla terra perché conceda sempre buoni frutti. Ora sembra strano che gli elementi della creazione non trovino posto nel racconto sopraccitato, probabilmente la loro venerazione è più antica e nelle preghiere a loro rivolte troviamo solo una eco lontana di una religione primitiva.

 

 

 Miti dei Touv

 

 Questo popolo ha una forte identità culturale e si riconosce in un sistema di racconti mitici che vengono insegnati a tutti sin dalla prima infanzia. Gli anziani hanno il compito precipuo di tramandare il loro sapere ai fanciulli.

 

Riporto il racconto della creazione così come mi è stato narrato.

 

 Prima che il vero popolo calcasse il suolo, la terra era sola e deserta; non un’anima abbelliva il mondo. Tutte le piante che crescono sulla terra e gli animali che camminano e volano e nuotano, tutti vivevano e crescevano nel mondo finché emerse come un profondo boato Uvot, lo spirito dell’abbondanza e della terra. Al suo destarsi egli benedisse i caldi raggi del sole che avevano permesso la vita, e nel far ciò risvegliò Nola, lo spirito del sole, la dea della luce. Poi giunsero le nubi ed una pioggia gentile benedì con la sua acqua la terra. Uvot rese grazie per quel dono e nel pronunciare tali parole diede forma a Vogan, lo spirito della pioggia.

 Nola e Vogan trovarono gioia l’uno nell’altra poiché si completavano a vicenda e arricchivano entrambi la terra di Uvot. Con l’aiuto di Vogan, Nola generò Breeka, lo spirito degli animali e delle piante, la signora delle belve. E Breeka generò da se stessa Katay, lo spirito dei cicli vitali, il dio della vita, del decadimento, della morte, e della rinascita. Uvot, poi, benedisse nuovamente Nola ed essa diede luce a Xanag, lo spirito dei metalli che riluce del fuoco della madre. Non restò indifferente alla bellezza luminosa di Xanag il signore delle tempeste: Vogan si unì a Xanag e dal vento e dal metallo nacquero suono e musica e si chiamarono Kundo, che è anche lo spirito della casa. Kundo costruì due grandi dischi, uno azzurro per ricordare la bellezza della madre, l’altro bianco e grande per onorare sua nonna Nola anche quando ella dorme, e li pose entrambi nel cielo. Katay si fece costruire una ruota da Xanag e su di essa registrò i movimenti nel cielo dei due dischi di Kundo, e diede dei nomi ad ogni giorno e ad ogni mese dell’anno.

Dopo che ebbe generato Katay, Breeka dormì un sonno pieno di dolori e tormenti ed al suo risveglio partorì Meyanok il serpente, lo spirito della malattia. Di tutti gli spiriti priminati egli fu l’unico a nascere di notte, lontano dalla luce di Nola, e questo rese oscuro il suo cuore.

Dall’unione della sua lussuria con la sua rabbia Meyanok generò da solo tre uova, dalla prima nacque Vara, la paura dell’oscurità; dalla seconda Damaran il parassita strisciante; dalla terza Berna, l’odiosa vendetta.

Meyanok mandò i suoi figli a corrompere i primi spiriti: Vara andò da Breeka, sua nonna, e colmò il suo sonno di terribili incubi. Quando Breeka si destò vomitò tutto l’orrore dei suoi sogni e le foreste si riempirono di creature della notte. Damaran si presentò da Kundo e infestò la sua casa di creature che strisciano e mordono, ma quando Kundo nella sua ira si parò dinanzi a lui, Damaran fuggì. Berna fu mandata da Xanag, ma allorché la bellezza del lucente metallo le si rivelò, la figlia di Meyanok restò affascinata da tanto splendore. Decise che non poteva provare alcun odio per un essere siffatto, cadde allora ai suoi piedi offrendo la sua vita in pegno di quanto stava per fare. Xanag ebbe pietà della figlia del serpente e per lei forgiò un cuore di puro oro rosso. Per mezzo di esso Berna da spirito di odio divenne spirito di passione.

 

Così termina il racconto della nascita degli spiriti. La religione dei Touv annovera molti altri spiriti minori, ma questi sono in assoluto i più importanti e soprattutto sono i signori del cosmo così come lo concepisce questo popolo.

 

Altri racconti narrano del dono delle anime agli uomini, anime forgiate da Nola e da Uvot, soffiate nei corpi da Vogan, su esse Meyanok gettò la sua maledizione colmandole di paura, odio e malvagità. Ma in esse splendeva forte la luce di Nola. Per questo nell’anima umana c’è una continua battaglia tra quanto v’è di buono e luminoso contro ciò che è oscuro e malevolo.

 

 

 Miti degli Olman

 

 Ben poco si sa dei miti cosmogonici di questo popolo.

 Le loro narrazioni mitiche più antiche parlano di un epoca lontana in cui il loro popolo era privo della guida degli dei, e viveva venerando le forze capricciose della natura. Probabilmente in origine gli Olman possedevano una religione sciamanica.

 In un momento della loro storia, quando ancora non avevano costruito una civiltà complessa, sono stati “trovati” ( questo è il termine che si trova in tutti i loro racconti ) dagli dei. Si tratta di un pantheon di divinità piuttosto singolare e che non ha riscontri altrove. Da dove abbiano avuto origine non è dato saperlo, né se si tratti di divinità note nelle Flanaess con altro nome.

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