Teste da cozzo! Duello e mentalità europea

Assai utile ad ogni DM è studiare l'arte della guerra, per poter proporre tattiche credibili ai suoi PG quando gli eserciti si scontrano sui campi di battaglia. E quale oggetto migliore per un autore fantasy di quello antico e medievale europeo?

Peccato che, almeno in partenza, gli europei di strategia non capiscan nulla. Per un europeo esiste solo una cosa: il cozzo! Scontro diretto in cui, senza trucchi e sotterfugi, ci si picchia. Stesso dicasi per la guerra, massa di duelli singolari corpo a corpo senza che nessuno interferisca nei combattimenti altrui. Con un autentico ribrezzo per le armi a distanza.

Testo cardine per tutto ciò è l'Iliade: l'autore omerico nulla sa di come i micenei usavano i carri da guerra, sa che li avevano e li inserisce nell'opera, ma il modo in cui ci si combatta sopra resta per lui un mistero. E così gli eroi usano i carri solo per spostarsi da un duello all'altro, scendendo e risalendo di volta in volta quando trovano i nemici che vogliono affrontare... a piedi!

Ma come si struttura e come si propone nelle sue varie forme questa mentalità del cozzo e come si riesce a far passare attraverso il lungo contesto che passa dalle guerre greche ai cavalieri medievali?

 

 

 

Già ci si figura una domanda. Fin dai primi anni della scuola ci viene insegnato che i greci combattono in falange: come si può ora pensare che i greci non sappian nulla di strategia e concepiscan la guerra solo come duelli quando usano una formazione compatta?

Uno scontro tra falangi è un duello di massa.

Gli opliti portano addosso 40 kg di roba: impossibile correre e, dopo pochi minuti, si muore di fatica. Quindi le due linee devono disporsi non troppo distanti l'una dall'altra e, una volta che le due formazioni sono pronte, procedere l'una contro l'altra per poche centinaio di metri.

Lo scopo è distruggere la compattezza nemica, e una volta distrutta, sarà impossibile ricomporla. O una delle due falangi salta al primo cozzo (e in tal caso lo scontro sarà quasi incruento) o la situazione sarà di quasi parità, e così le due linee estrarranno le spade corte e cominceranno a punzecchiarsi finchè una delle due finalmente non cederà (e come potete immaginare, in questo caso lo scontro sarà estremamente cruento).

Gli sconfitti fuggono mollando i pesanti scudi: non saranno inseguiti, visto che per poterlo fare i vincitori dovrebbero mollare a loro volta i loro, e la battaglia è finita.

Aggiungo che uno scontro tra falangi si svolge in un luogo già prestabilito per accordo tra i comandanti: nessuno dei due concederebbe all'altro il vantaggio di un terreno in discesa, bisogna trovare un terreno in piano, la Grecia ne ha pochi, e così ci si combatte sugli stessi campi di coltivazione per cui si combatte.

Una falange fa paura solo ad un'altra falange. Basta esser leggeri, mobili e fare un po' di guerriglia, non serve neanche arrivare colpire: in pochi minuti l'oplita crolla da solo per la fatica stessa che fa a muoversi. Addirittura: basterebbe fare il giro e non affrontarla neanche, gli opliti rimarrebbero lì a guardare i nemici che se ne vanno e a maledire i vigliacchi che evitano lo scontro.
Per quanto riguarda la cavalleria esiste ad Atene una classe di censo nota come cavalieri, ma è solo un titolo: i cavalli per la guerra ad Atene sono pubblici e vengono usati solo per ricognizioni.

 

 

Corre solo perchè nel film è senza armatura. Se la avesse sarebbe già svenuto!

 

I romani combattono più o meno allo stesso modo.
Ne è testimone Pirro, re dell'Epiro, le cui vittorie sono ancora oggi proverbiali. Vittorie di Pirro perchè, nonostante dal punto di vista tattico e strategico fosse infinitamente superiore ai suoi avversari e li sconfiggesse tante volte, i romani erano ancora tanti e i suoi uomini erano sempre meno. Continuerà a “vincere” fino a perder tutti i soldati e a morire ignobilmente centrato in testa dalla tegola che una vecchietta aveva scagliato dalla finestra.

 

Un'ottima immagine di tutto ciò ci deriva dagli scontri contro Annibale.

Annibale è definito perfidus dai romani perchè, orrore degli orrori, compie imboscate: inconcepibile!

Canne è la grande vittoria di Annibale perchè riesce ad accerchiare i romani con un esercito inferiore di numero: una sconfitta così agghiacciante da spingerli (secondo alcuni studiosi) a conquistare tutti i confinanti possibili solo per evitare che accadesse di nuovo una cosa simile!

Troppi son convinti che Annibale vinca i romani solo grazie agli elefanti: Annibale sconfigge i romani quando è senza elefanti a Canne e perde quando li ha a Zama. Tanto che uno dei suoi più grandi difetti è la fascinazione da generale ellenistico che lo spinge ad usarli.

Gli elefanti sono utili solo se non si sa come contrastarli: basta saper dividere l'esercito in corsie per limitare i danni e usare le fiamme e i corni per spaventarli, visto che un elefante in fuga che travolge il suo stesso esercito rischia di far più danni di quanti ne faccia ai nemici.

 

Serrare le fila per uno scontro frontale NON è una buona tattica!

 

Veniamo ora ai cavalieri medievali, che in tutta la romanzistica cavalleresca si affrontano quasi esclusivamente a piedi. Il duello può avvenire in mezzo a due eserciti (sia come scontro risolutivo sia come segnale di inizio per una battaglia) o in una foresta (classico luogo d'iniziazione per cavalieri). Le guerre, per il resto, sono come quelle omeriche: una massa di duelli indipendenti l'uno dall'altro.

I duelli vengono descritti nei minimi dettagli perchè scritti per un pubblico di duellanti intenditori a cui piaceva molto poter riconoscere ogni mossa dei contendenti, per cui per noi sono spesso un po' noiosi (immaginatevi di leggere un duello di Valentina Vezzali descritta da allenatori di fioretto per allenatori di fioretto). Omero ha un altro pubblico e difatti è più conciso.

Lo svolgimento è canonizzato: i due si affrontano, nessuno riesce a prevalere, il pareggio è costante finchè una sola mossa non rabalta le sorti dello scontro e, con quella, uno dei due prevale.

 

Fondamentale per il vincitore è il riconoscimento della vittoria.

Se il duello si svolge sotto gli occhi di tutti, coloro che li vedono saranno pubblico, arbitro e testimoni per riconoscerne forma e prestigio, con tanto di donne a far da propellenti, tanto che spesso durante gli assedi vengono visti dalle mura dove gli assediati esprimono giudizi. Si combatte solo di giorno per esser visti, la notte è il tempo degli agguati: Tasso si lamenta del fatto che il duello tra Clorinda e Tancredi avrebbe meritato ampio pubblico e invece non fu visto da nessuno...

 

Se invece i due si trovano in un luogo appartato il vincitore punta la lama sul collo del vinto e gli propone due alternative: resa o decapitazione. Se lo sconfitto si arrende viene portato dal re del vincitore e ammettere davanti a tutti la sconfitta (per poi consegnarsi e giurare fedeltà al re), se invece rifiuta la testa gli viene mozzata seduta stante e viene portata a corte come segno della vittoria.

Il tema della decapitazione dopo il duello pare sia un residuo di tradizioni celtiche per cui la testa era il fulcro dell'anima del morto, tanto che se i compagni caduti erano troppi e il tempo di andarsene era poco l'importante era portare via le teste e seppellir anche solo quelle.

Durante il duello è più che sensato che si miri alla testa perchè anche i colpi sull'elmo sono molto utili per stordire l'avversario.

 

La testa. O la chini o la perdi.

 

Come si esce da questo genere di mentalità? Affrontando qualcuno che combatte in modo più sensato e continuando a perdere fino a dover finalmente decidere che non si può continuare così. Normalmente chi combatte meglio sono i nostri vicini nordafricani ed asiatici. I persiani per i greci, i cartaginesi, come sopra detto, per i romani (Scipione l'Africano si forma combattendo contro Annibale) e per i cavalieri europei gli arabi.

I saraceni combattono infatti con una cavalleria rapida e con arcieri dotati di frecce. I medievali saranno costretti a inventarsi per la prima volta nella storia la staffa e daranno inizio alla vera cavalleria pesante (senza staffa è difficile combattere da cavallo in armatura) solo per poter competere con gli eserciti invasori. Nonostante questo ci metteranno comunque un bel po' di tempo ad uscire dal cozzo (passato semplicemente da cozzo a piedi a cozzo a cavallo) per contrastare le tattiche di guerriglia e imparare, man mano, ad apprezzare, con molte riserve, anche archi e frecce... Si badi che, al tempo, nessun esercito al mondo comunque è capace di combattere in uno scontro diretto contro un esercito europeo.

Questo comunque solo da un punto di vista storico. Nella letteratura dei tempi di Ariosto e Tasso gli eroi continuano imperterriti a combattere a piedi.

 

Serve combattere contro un cavallo per decider che conviene usarlo

 

Per non concludere in modo troppo truculento si passi invece a cosa succede quando un duello si interrompe per spirito cavalleresco. Lo farò attraverso due esempi che Shiller rapportò per definire la differenza tra poesia ingenua e poesia sentimentale, distinzione utile anche ai DM per decidere come raccontare un duello. Ingenuo è colui che vive perfettamente nella situazione che racconta e descrive senza commentare, sentimentale è colui che sente fortissimo il distacco dagli eventi che narra trovandosi ad esprimer gran quantità di giudizi e pareri. Il fantasy normalmente è, a mio parere, un genere sentimentale, ma forse nel far parlare qualche bardo o anche solo per render più immediata la situazione a un certo tasso di immedesimazione talvolta potrebbe convenire essere ingenui.

 

Il primo esempio è il famoso duello tra Ferraù e Rinaldo (Orlando Furioso). Mentre i due si battono per la bella Angelica, la fanciulla se ne va e così i due si guardano e si chiedono quanto senso abbia continuare a battersi, tanto che uno dei due offre all'altro un passaggio sul suo cavallo in modo tale da inseguirla assieme e, in caso, riprendere a battersi quando la troveranno. Ariosto non riesce a trattenersi e commenta lanciandosi in una stanza assai nota: “Oh cavalieri dei tempi antiqui! Eran rivali, eran di fè diversi, E si sentian degli aspri colpi iniqui Per tutta la persona anco dolersi; E pur per selve oscure e calli obliqui Insieme van senza sospetto aversi”

 

L'altro esempio è l'incontro tra Glauco e Diomede. Si incontrano sui campi di battaglia fuori di Troia, nell'Iliade. A entrambi è chiaro chi sarà il vincitore: Diomede è il terzo in ordine di forza in campo acheo (capace di ferire divinità come Ares e Afrodite!) mentre Glauco è un banale soldatucolo di campo troiano. Per far passare un po' di tempo Diomede chiede a Glauco di narrargli il suo background prima di affettarlo. Glauco lo fa, i due passano un paio d'ore con questa ben particolareggiata storia sulle sue origini mentre tutt'intorno gli altri si sventrano e si maciullano. Alla fine viene fuori che il nonno di Glauco e il nonno di Diomede eran buoni amici: i due non possono più combattersi, devono farsi doni scambiandosi le armi! Nessun autore moderno a questo punto sarebbe capace di trattenere un elogio paragonabile a quello di cui sopra. Invece Omero ci stupisce e fa l'unico commento di tutta l'Iliade solo per dirci che Glauco non fu molto furbo. La sua armatura essendo d'oro valeva cinquanta buoi mentre quella di Diomede essendo di bronzo ne valeva solo uno...

 

 

Ma che c'è di così commovente? Si stanno solo scambiando armi! E lo fanno pure male...

 

Penso con questo di aver dato utili spunti a DM e giocatori per gestire una mentalità guerresca votata al cozzo dalle antiche origini, che facilmente si può riprodurre in una campagna, dando anche utili spiegazioni sul come gestire una guerra con questo tipo di ragionamenti (sia esso un duello di massa o una massa di duelli). Si badi bene che tutto questo definisce una mentalità di partenza comune e che tratta un ampio arco storico colmo di differenze ed eccezioni, a cui mi dedicherò in articoli futuri. E come si concepisca la guerra non sempre determina con completezza come la si fa.

Sfortunatamente la maggior parte di questo articolo si basa su una conferenza tenuta da Alvaro Barbieri e da lezioni di storia greca e storia romana, quindi potrò indicare pochi testi.

Per comprendere la guerra per i romani (e, nello specifico, i casi descritti) consiglio la lettura di Brizzi, Annibale strategia e immagine, con tutte le descrizioni nel dettaglio delle varie battaglie che si susseguono durante le guerre puniche incluse strategie e forze in campo. Per chi fosse interessato Brizzi è probabilmente il miglior storico militare romano.

Sulla decapitazione consiglio Alvaro Barbieri, Cacciatori di teste alla corte di re Artù: il motivo della decapitazione nei romanzi francesi in versi di materia bretone (secoli XII e XIII) in “L'ornato parlare” studi di filologia e letterature romanze per Furio Brugnolo, Esedra editrice

Alla base dell'articolo vi sono tracce indirette di Udwin, Between two armies, che purtroppo non potei leggere.

Per il finale consiglio la lettura del breve libro Shiller, Sulla poesia ingenua e sentimentale, SE, da cui ho ripreso le pagine 33-35 (la fine del primo capitolo per le altre edizioni)