Il Castello incantato

Il Castello incantato

Quando la paladina aprì gli occhi il mondo attorno a lei era cambiato. Non c’erano più le fredde mura della capanna, né il tetto cadente, si trovava all’aria aperta, poteva ammirare il sole in tutto il suo splendore… No, non vi era alcun astro nel cielo, eppure tutto sembrava illuminato da una fioca luce rosea e argentata. L’aria era tiepida, quella di un mattino d’estate, e un prato verde puntellato da candidi fiori di campo si estendeva a perdita d’occhio fino…fino al nulla. Sembrava che il terreno, a qualche centinaio di metri di distanza davanti a lei, sprofondasse lasciando spazio a quel cielo color dell’aurora. Dovevano trovarsi su una sorta di isola fluttuante nel vuoto.
 
Si guardò attorno. I compagni si stavano destando da quel sonno magico creato dall’incantesimo della bambina; più in là, in direzione opposta al baratro misterioso, si ergeva una costruzione favolosa, dalla quale svettavano snelle torri color latte sormontate da tetti a punta di ardesia celeste con tanto di aste e bandiere, ponti troppo sottili per esistere davvero collegavano i candidi pilastri l’uno all’altro e scendevano fino a perdersi dietro all’imponente muro bianco che separava quella costruzione meravigliosa dal resto dell’isola fluttuante. Un alto portone d’oro sembrava l’unica via d’accesso al palazzo.
 
“Non capisco…” fece Sephora con un filo di voce riconoscendo il respiro dell’amato che si avvicinava dietro di lei “Sarebbe questo l’Abisso?”
“Non fidarti delle apparenze, amore mio. I demoni sono maestri ingannatori. Da parte mia non mi aspettavo qualcosa di troppo diverso da ciò che vedo ora”
“Non vorrete farvi sconfiggere da queste ridicole finzioni!” Selthos aprì subito il suo pesante compendio di arti magiche per richiamare alla mente una magia che non usava da diverso tempo, quindi estrasse da una piccola boccetta nella sacca alcune gocce di un misterioso unguento, le lasciò cadere sui suoi occhi e recitò la formula della Visione del vero. Arkantor e Naoe avevano già compreso i suoi intenti e non potevano che essere d’accordo con la sua trovata, ma si scoprirono a bocca aperta quando udirono le grida del mago.
 
Selthos si portò le mani alla testa e richiuse subito gli occhi, accecato dalle visioni che assalivano la sua mente, il mondo prese a vorticare e si ritrovò con le ginocchia a terra prima che potesse rendersene conto. Passarono alcuni minuti di agonia in cui i compagni cercavano di aiutarlo in vano, quindi il dolore passò, insieme all’effetto del malaugurato incantesimo.
“Cos’è accaduto? Cos’hai visto?” La voce dell’altro mago tremava, era come se sentisse l’alito di un demone proprio dietro al suo gracile collo.
“Qualcosa… Qualcosa nell’incantesimo è andato storto” pronunciò l’altro con voce soffocata mentre Sephora lo aiutava a mettersi seduto. Controllava se la temperatura sulla sua fronte era salita troppo e si prendeva cura di lui come una madre, gli altri indietreggiarono di qualche passo per lasciarlo riprendere fiato. “E’ stata come una luce accecante, talmente forte da bruciarmi gli occhi, da penetrarmi nella testa…”
“Tutto qui è un’illusione” fece Claude risoluto, fissando inespressivo il prato attorno a lui, poi rivolgendosi al palazzo fatato e al portone d’oro “Non ha senso che tentiamo di discernere il vero dal falso, in un mondo dove non esiste realtà”
“Allora cosa speri di fare adesso? Non mi va di essere totalmente alla mercé di questi assassini spietati che si divertono a giocare con noi!” Selthos sembrava aver già recuperato le forze, pronunciando quelle parole con ferocia e disperazione davanti agli occhi di ghiaccio del paladino.
“Come faremo a scovare gli avversari invisibili senza la Visione del vero?”
“Calmati mago, non tutti gli ostacoli si risolvono con qualche trucchetto, fai più attenzione la prossima volta che usi la tua arte per darti delle arie” anche nella voce del guerriero celestiale si nascondeva la paura, che tutti tentavano di celare dietro alla rabbia e al sangue freddo. Il mago avvertiva la tensione che si addensava nell’aria, non avrebbe risposto alle provocazioni, dovevano restare uniti ora se volevano portare a casa la pelle intatta.
 
Subito ebbero inizio le discussioni sul da farsi. C’era chi proponeva di fuggire con degli incantesimi di trasporto, sempre che i demoni gliel’avrebbero permesso, chi non sopportava quegli interminabili momenti di indecisione e voleva sollevare le armi e partire alla carica verso il castello, chi non sapeva fare altro che rammaricarsi di aver dato ascolto alla bambina e che ora continuava a ripetere quanto fossero spacciati. Sephora no. La paladina era stata la prima ad ascoltare la voce della piccola Lidia, la prima a rimanere commossa da quell’immagine di innocenza derubata crudelmente di qualcosa a lei caro. Pensava alle sue istruzioni. Non erano state molto precise: la strega che le aveva sottratto la corona si rifugiava tra dei seducenti demoni dalle ali piumate, immersa nel lusso sfrenato di un palazzo d’avorio. Beh, bastava questo, no? Il castello era lì davanti, non dovevano fare altro che varcare quella porta… Poteva capitarle di peggio. Avrebbero potuto apparire in una valle di cenere attraversata da orde di tanar’ri, o precipitare in uno dei mari d’acido che venivano descritti nei sermoni dei sacerdoti di Pelor tra le pene dell’inferno. Chissà se essere così ottimista l’avrebbe portata lontano però… non sapeva ancora cosa si celava dietro a quelle porte d’oro.
 
Sì, le porte d’oro erano l’unica via che si parava davanti a loro. Arkantor aveva fatto un rapido tentativo di aprire un piccolo portale verso casa, o comunque il mondo che consideravano la “realtà”, ma era apparso nell’aria un disco verticale che apriva una porta verso il vuoto. Nessuno aveva il coraggio di sperimentare lo strano funzionamento dell’incantesimo, per ora il secondo a fallire in quella giornata sventurata.
“E perché non volare?” fece ancora il mago dalla barba nera, non contento dell’infelice risultato della sua Visione del vero, che voleva redimersi del suo fallimento “non mi fido affatto di questo posto, voglio prima vedere cosa ci attende dall’altra parte delle mura”
“Smettila, Selthos” Fu ancora Claude a rispondergli “l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno ora è di dividerci, se non vedi gli oggetti e le creature invisibili è meglio che non ti allontani, infatti non tutti abbiamo la possibilità di volare in questo momento e da solo saresti completamente in balia di qualsiasi creatura che si potrebbe nascondere qui attorno. Per non parlare poi delle barriere che potrebbero proteggere il palazzo dagli aggressori alati. Dubito che i demoni siano così stupidi”
 
Naoe era già avanti al gruppo di diversi passi, incuriosito da tutto ciò che vedeva attorno a lui, e osservava i bassorilievi scolpiti nell’oro della grande porta.
“Guardate, sembrano i disegni di un bambino”
L’attenzione di tutti si volse sul bardo e la sua bizzarra scoperta.
“Sì, queste dovrebbero essere delle fate…”
“C’è anche una scritta, sembra elfico” Arkantor si sistemò meglio gli occhiali e raggiunse il compagno davanti al portone “La scrittura è elfica ma le parole sono in lingua celestiale, se non sbaglio… Dice: Non destate la dormiente principessa dei sogni
“Questo sembra avere ben poco a che fare con i demoni” Naoe era confuso, come del resto tutti i suoi compagni “Se questo significa Tornate a casa potrebbero anche fornirci un mezzo per farlo”
Ma Claude e Sephora non trovavano nulla di divertente in quell’affermazione, stavano cominciando a seccarsi della codardia dei loro compagni. Il guerriero alato percorse a passi decisi la breve distanza che lo separava dal portone e, risoluto, vi appoggiò la spalla cominciando a spingere la pesante anta. Subito la paladina gli venne in aiuto, ma senza successo, finché l’ennesima formula magica di Selthos non risuonò nell’aria dissolvendo l’incantesimo che sigillava l’entrata.
 
La porta si apri di scatto facendo perdere l’equilibrio ai paladini, che si ritrovarono a faccia a terra. Davanti a loro la luce rosea penetrò nell’oscurità di quell’antro polveroso. Seguirono alcuni attimi di silenzio, rotto in breve dal grido di terrore del pavido cantastorie. Poi un sibilo, no, sembrava che dietro a quel muro di tenebre si nascondessero diversi serpenti, o qualcosa del genere.
Subito i combattenti scattarono in piedi indietreggiando di qualche passo per meglio affrontare qualunque cosa fosse uscita dall’oscurità. Le armi pronte nelle loro mani. I maghi sondarono velocemente le biblioteche delle loro menti in cerca degli incantesimi più utili in quella situazione, Naoe cercò di fermare le sue viscere che gorgogliavano ed estrasse la spada dalla lama sottile.
 
Ed ecco che il mostro venne avanti, emergendo dall’ombra ed apparendo agli occhi degli eroi, che ancora si dovevano abituare all’oscurità, un collo serpentino sfrecciò verso il guerriero alato, mordendo l’aria davanti a lui mentre questo balzava agilmente indietro, poi altri due si diressero verso la sua compagna. Dietro, le altre nove teste dell’idra si preparavano ad attaccare i malcapitati che erano venuti a disturbare il suo riposo.
 
Più veloce delle lame dei combattenti o delle fauci del mostro una sfera infuocata eruppe dalle mani protese di Selthos oltrepassando i paladini ed infrangendosi sul tozzo torace della creatura, nel punto dal quale emergevano i dodici colli serpentini, che si dimenarono per il dolore. Sephora si tuffò nella nuvola di detriti sollevati dall’esplosione non curante del calore e fece saettare le due spade verso il cuore del mostro, ma rimase spiacevolmente sorpresa notando la durezza delle scaglie che proteggevano quella zona. Una possente zampa la scaraventò contro lo stipite della porta senza troppe difficoltà, poi due delle teste dell’idra le furono addosso. Le altre si avventarono sul guerriero alato e sugli incantatori. Claude descrisse un semicerchio davanti a lui con il pesante spadone magico, proprio quando le fauci del mostro stavano per serrarsi su di lui. Due teste dell’idra caddero a terra in un’esplosione sanguinolenta che investì il paladino disgustato. Arkantor eresse uno scudo di energia appena in tempo per deviare gli attacchi altrimenti mortali diretti sui di lui; Selthos preferì allontanare le teste fameliche scatenando una piccola tempesta di fuoco davanti a sé. Naoe, rassicurato solo dalla presenza dei paladini al suo fianco, non tardò a recuperare il sangue freddo e schivò l’attacco dell’idra abbattendo poi sulla sua testa la spada con tutta la sua forza.
 
Il paladino sbatté le ali e si catapultò verso la sua amata, aggrappandosi ad uno dei colli della creatura che la minacciavano. Questo prese subito a dimenarsi e cominciò una lotta tra i due per mantenere l’equilibrio. Sephora approfittò della distrazione del mostro per attaccare la seconda testa. La spada corta scalfì un dente affilato dell’idra, che mosse il capo in risposta al colpo mentre l’arma più pesante calò dalla parte opposta separando la testa dal collo. Il moncone vomitò un fiume di sangue scuro e prese a dimenarsi con rinnovata veemenza.
 
Lo studioso arcano indietreggiava intimorito dai ruggiti famelici delle teste d’idra che lo assalivano, le sue dita tremavano, gli occhiali a cui teneva così tanto facevano già parte della colazione del mostro e tra le mille formule magiche che scorrevano nella sua mente non ce ne era una che avrebbe potuto salvarlo in quel momento. Il panico si era impossessato di Arkantor, che ora tentava di tener lontana la creatura con il moncone del suo vecchio bastone ferrato. L’altro mago, sebbene affrontasse il mostro con molta più determinazione, non era in condizioni migliori. I suoi incantesimi avevano solo annerito le scaglie dell’idra, senza provocare nessuna ferita ingente, mentre la mano sinistra di Selthos riportava già gli orribili segni di quello scontro. Anche la sua capacità di lanciare incantesimi era diminuita quindi, quando la bestia era riuscita ad addentarlo. Una scarica di fulmini investì ancora quella testa tanto ostinata, che schizzò indietro contorcendosi per il dolore, ma subito dopo riaprì gli occhi e puntò ancora verso quel bersaglio tanto irritante.
 
Dopo aver abbattuto una delle teste dell’idra l’autostima di Naoe si ricompose miracolosamente, e dalle sue labbra uscirono le note melodiose di un canto da battaglia. Quindi diresse subito verso Arkantor deciso a dar prova ancora una volta della sua prodezza. La sua musica però, sebbene riempisse di coraggio e di furore i cuori dei compagni, avvisò subito l’idra della sua carica improvvisa, e una testa gli si parò davanti per fermarlo. Un tremendo affondo fu schivato dai riflessi scattanti del grosso rettile, che tornò all’attacco affondando i denti sulla caviglia del bardo facendolo cadere a terra.
Claude impugnò ancora la spada con entrambe le mani e, libratosi in aria per qualche attimo, tagliò di netto un'altra testa dell’idra. Sephora osservava ancora colma d’orrore il moncone del collo che aveva appena reciso. Il flusso di sangue si era interrotto, ora vedeva che la pelle, le ossa e gli altri tessuti si stavano ricomponendo con innaturale velocità, ricreando una nuova testa…no, erano due!
 
Altre quattro teste si avventarono su di lei, provenienti dai monconi precedentemente recisi da Claude, ma il paladino piombò ancora su di loro, scatenando la sua ira in una raffica di colpi tremendi.
Le fauci dell’idra scattarono ancora verso Arkantor, ormai indifeso, privato perfino dei resti del suo amato bastone, ma quando si richiusero si ritrovarono a mordere solo aria, dietro all’immagine illusoria che il mago era riuscito a lasciare al posto suo all’ultimo momento. Quindi una lama nera crepitante composta solo dalla pura forza della magia tranciò il collo dell’idra. Arkantor sorrideva arcigno poco lontano, tirando un sospiro di sollievo.
 
“Bruciate i monconi! Non permettetele di rigenerarsi!” Claude mollò un grido mentre la sua compagna riafferrava le armi magiche per aiutarlo nella tremenda mischia in cui si era tuffato per proteggerla. Selthos recepì il messaggio in un baleno, e comprese anche che i suoi incantesimi non avrebbero sortito l’effetto sperato contro le scaglie resistenti alla magia di quella bestia. Mettendo fondo a tutte le energie di cui disponeva si lanciò a terra per evitare un altro tremendo morso del rettile e scagliò un dardo fiammeggiante proprio contro il moncone della testa che Naoe aveva reciso in precedenza.
Il bardo fu costretto a fermare la sua canzone, aveva bisogno della voce per ricorrere alla sua magia. Lasciò andare la spada per poter compiere al meglio i gesti dell’incantesimo che gli avrebbe salvato la vita, e, recitata la formula, sparì nel nulla. L’idra non trovò più resistenza al suo tentativo di sollevare in aria il poveretto e sbatté la testa sull’arco che sovrastava il portone. Subito dopo il bardo riapparve sul prato davanti all’entrata, riprese l’arma dal terreno e svanì di nuovo, per poi riapparire dopo qualche secondo abbattendosi su una nuova testa. Arkantor riconobbe l’incantesimo dell’Intermittenza e non poté che sorridere davanti all’inaspettata arguzia del cantastorie. Ripreso il controllo sul combattimento inviò subito la sua lama di energia ad affrontare la testa che stava per avventarsi nuovamente sull’altro stregone.
 
Gli incantesimi di Selthos saettarono per tutta la zona incenerendo i monconi delle teste tagliate, finché anche l’ultima non fu abbattuta e debitamente bruciata. Quasi in coro gli eroi tirarono un grosso sospiro di sollievo.
La magia degli dei del bene non era troppo lontana nemmeno in quel posto e Heironeous rispose in fretta alle preghiere dei paladini di guarire le loro ferite. Naoe aveva sentito parlare a lungo delle doti curative delle mani dei santi cavalieri del dio del valore ma non poteva nemmeno immaginare quanto sollievo avrebbe provato sentendo le energie magiche fluire dentro il suo corpo ed alleviare il dolore alla caviglia. Ammirò la pelle rigenerarsi in pochi istanti coprendo lo squarcio che i denti dell’idra avevano provocato alla sua gamba e ne rimase affascinato.
 
Alzò gli occhi ed incontrò quelli di Sephora. La luce sacra che scaturiva dal suo cuore d’oro impregnava quegli occhi angelici, che avevano il potere di dare conforto anche alle tormentate anime degli inferi. Ma mentre le mani della paladina chiudevano con la loro magia le ferite sulla pelle del cantastorie quel dolce sorriso dilaniava il suo cuore. Naoe era attratto dalla guerriera, non poteva nasconderlo a se stesso, ma sapeva benissimo quanto amore ci fosse tra lei ed il fiero Claude. Nulla avrebbe potuto separarli, nulla può intaccare l’amore che lega due paladini dal cuore puro. Abbassò lo sguardo lasciando che i pensieri corressero lontano, dove non potevano nuocere a nessuno.
 
L’atrio era ampio ma buio, la luce penetrava solo dall’entrata che avevano aperto, illuminando una camera vuota, fatta eccezione per i mucchi di ossa e ferraglia appartenuti a coloro che li avevano preceduti nella tana della creatura. Opposta all’ingresso da cui erano penetrati si stagliava un’altra porta, più modesta della prima, che non avrebbe permesso ad un mostro gigantesco come quell’idra di passare. Non vi erano altre aperture e gli eroi ipotizzarono che dovesse passare periodicamente qualcuno a nutrire il grosso rettile in quanto questo non avrebbe potuto muoversi da lì e sarebbe rimasta a digiuno per molto tempo se una schiera di avventurieri non si fosse avventurata nel suo antro ogni settimana. Ora non ce ne sarebbe stato più bisogno.
 
Aperta la seconda porta nuova luce invase la stanza, proveniente dal cortile interno del palazzo, dove crescevano ogni sorta di piante esotiche, delle quali solo il saggio Arkantor aveva vagamente sentito parlare. Una specie in particolare si arrampicava per tutte le pareti del castello che circondavano il giardino per raggiungere i punti più assolati, mentre le radici penetravano profonde nel terreno per trarre il nutrimento. Fiori gialli e arancioni spuntavano in ogni ove vivacizzando il verde delle foglie, sul terreno altri alberi ostentavano i loro frutti insieme ai nuovi boccioli, come se l’estate e la primavera si fossero fuse insieme dando origine ad un’unica feconda stagione con le bellezze di entrambe. Piccoli uccelli variopinti cinguettavano e si rincorrevano tra le fronde verdeggianti ma oltre a loro non c’era anima viva, né un suono diverso dal loro canto turbava quella mistica quiete.
 
Ancora convinto dell’indispensabilità dei suoi incantesimi Selthos si librò nell’aria per avere una visione più dettagliata del cortile. Non era molto grande, limitato dalle mura di diversi edifici interconnessi tra loro, tutti non troppo alti ed intervallati da ampie vetrate e parapetti sui quali si arrampicava la pianta rigogliosa del giardino.  Il richiamo di Claude non tardò ed il mago si unì nuovamente al gruppo, che tentava di aprire l’unica porta che si apriva al piano terra. Questa volta non fu difficile, non vi erano incantesimi a proteggerla, come se coloro che abitavano il castello avessero posto troppa fiducia nel mostro all’entrata.
 
La camera davanti a loro, all’interno dell’edificio più imponente che dava sul cortile interno, aveva pianta esagonale e sette piccoli altari circolari in marmo si ergevano dal pavimento, anche questi disposti seguendo la forma della stanza, uno al centro esatto di essa. Sopra ad ognuno era poggiato un oggetto. Tutto brillava intensamente di luce magica agli occhi dei due incantatori.
 
Sul fondo era chiusa una porta circolare in pietra bianca, con un’incisione dorata scritta con i sinuosi caratteri del modo elfico. Ma i cupidi sguardi del bardo e dei due stregoni erano diretti verso ciò che vedevano posato sopra agli altari. Due pietre delle dimensioni di un pugno o poco meno, che pulsavano di energia dei colori dell’arcobaleno, un lungo bastone di legno bianco intarsiato di rune da cima a fondo, un paio di guanti in lucida pelle nera che recavano strani simboli arcani ricamati sul dorso, una lanterna di cristallo ed oro, una sottile bacchetta ed una statuetta di bronzo a forma di grifone. Quest’ultima si trovava sull’altare al centro della sala.
 
“Sono pronto a scommettere che uno di questi sia la chiave per la porta là in fondo” Fece Naoe credendosi astuto e cercando di giustificare la sua attenzione verso quegli oggetti di fronte al cipiglio di Sephora
“Lasciamo stare quegli oggetti e leggiamo intanto ciò che sta scritto sulla porta, secondo me sono soltanto un mezzo per distrarci. E se si trattasse poi solo di mere illusioni?” La paladina non voleva fidarsi di ciò che vedeva e la cupidigia che leggeva negli occhi dei suoi compagni la infastidiva.
 
Subito Claude stese le braccia davanti agli stregoni bloccando qualsiasi loro tentativo di movimento, poi si fece avanti per raggiungere l’uscio sul lato opposto della stanza. Proseguì baldanzoso finché, attraversando la linea invisibile che collegava i primi due altari, ai quali stava passando in mezzo, gli incantesimi protettivi che costituivano quella trappola fecero il loro effetto, emanando una vampata di fuoco da una parte ed un’ondata di energia distruttiva dall’altra, che investirono il guerriero. Questo, affidandosi ai suoi riflessi scattanti, spiccò un salto in avanti evitando per un pelo di essere incenerito dalle magie mortali, ma atterrando appoggiò malauguratamente le mani all’altare che aveva di fronte, quello centrale, recante la statuetta del grifone di bronzo, per riprendere l’equilibrio.
 
Un altro incantesimo fece il suo effetto, ed un dolore acuto si diffuse in un istante nel corpo celestiale di Claude che strinse i denti per trattenersi dal gridare. Sentiva gli arti che si irrigidivano, le dita delle mani che aveva appoggiato al marmo erano gelide, poi cominciò a perdere la sensibilità. Ancora una volta un riflesso inconscio del suo corpo gli fece ritrarre le braccia e il paladino cadde a terra contorcendosi per il dolore.
 
“Claude!” Sephora si gettò sull’amato attraversando la traiettoria delle magie che prima avevano scatenato la loro furia noncurante del pericolo. I due maghi tentarono di trattenerla ma lei fu più rapida. Fortunatamente gli incantesimi non si attivarono nuovamente, forse era passato troppo poco tempo da quando erano esplosi precedentemente.
La guerriera afferrò le mani dell’altro e rimase sconcertata. Erano rigide e fredde, le sembrava di toccare dei blocchi di pietra. Gli spasmi di dolore di Claude diminuirono fino a cessare nell’arco di pochi secondi e la paladina si rilassò, lasciandosi comunque sfuggire una lacrima mentre riabbracciava il cavaliere alato, sfuggito per poco alla sorte della statua. Anche le dita delle mani tornarono normali in breve.
 
“Fermati Claude!” Arkantor gettò a terra il suo libro degli incantesimi in preda alla rabbia “Una buona volta aspetta il parere degli altri prima di decidere! Non è necessario che tu rischi la vita per mostrare a tutti il tuo valore, ancora nessuno ti ha chiesto di suicidarti facendo da esca in quella che è palesemente una trappola magica. Questo è il nostro campo, lascia fare a noi” quindi pronunciò deciso un’unica parola nel linguaggio draconico e svanì nel nulla.
Il paladino, rialzatosi in piedi con l’aiuto di Sephora, fece per contestare ma perse di vista il suo interlocutore. La voce dello stregone rimbombò nuovamente nella camera ma questa volta proveniva da dietro le spalle del guerriero alato, proprio davanti alla porta circolare.
 
“Ora non muoverti, vedrò cosa posso fare” disse, poi si girò e cominciò a leggere i glifi incisi nel marmo. La sua mano seguì il suo sguardo e si posò malauguratamente sulla fredda superficie della porta, quindi una nuova magia esplose nella stanza. L’incantatore emise un grido strozzato e venne scaraventato da una forza invisibile verso Claude e Sephora. L’inferno si scatenò nuovamente quando attraversò in volo i primi due altari, un fulmine ed un’ondata di gelo assoluto investirono il suo fragile corpo, che finì il suo percorso sul pavimento, a pochi centimetri dall’altare centrale, dove il paladino aveva appena rischiato di finire pietrificato.
 
“No!” La guerriera e il suo amato, sebbene quest’ultimo fosse ancora stizzito per il rimprovero ricevuto, si precipitarono a guarire il loro compagno con la poca magia che gli rimaneva, sperando di non agire ormai troppo tardi. Ancora all’entrata gli altri due si erano stancati di assistere a quegli eventi senza poter fare nulla, il mago corpulento era già all’opera nel tentativo di dissolvere gli incantesimi che collegavano gli altari in quella rete mortale dove i loro compagni si erano cacciati. Il bardo fremeva, ma conservava ancora abbastanza prudenza per rimanere dove si trovava finché le magie di Selthos non avessero fatto effetto.
 
Arkantor tossì sonoramente e prese a tremare, la pelle era annerita dal fulmine e ricoperta da uno strato di nevischio e frammenti di ghiaccio che l’avevano ricoperta subito dopo, i capelli erano ritti sulla testa, un ronzio costante permeava le sue orecchie, impedendogli di sentire chiaramente cosa stessero dicendo i due paladini protesi su di lui. Gli parve di notare la ragazza ritrarsi per un istante in seguito ad una scarica elettrica ricevuta al contatto con il suo corpo, ma poi sentì l’energia curativa dei loro incantesimi, sebbene ormai deboli, che alleviava i suoi dolori.
 
Gli sforzi di Selthos si dimostrarono vani e il guerriero alato, che voleva dimostrare all’altro mago quanto in realtà avessero bisogno di lui, si fece di nuovo avanti, sta volta esponendo prima le sue intenzioni.
“Gli incantesimi che scaturiscono dagli ultimi due altari, come ho potuto notare grazie al tuo aiuto, mago, hanno a che fare con il gelo ed i fulmini. La mia natura celestiale mi rende pressoché invulnerabile a questo genere di attacchi, quindi posso passare indenne”
 
“E una volta ce tu ti troverai davanti a quella porta che cosa farai? Tu non conosci l’elfico” Contestò lo stregone
“Ha ragione lui, Arkantor” Selthos si intromise nella discussione tra i due, aveva intuito gli intenti di Claude “Una volta che avrà fatto scattare la trappola avrai a disposizione alcuni secondi in cui questa sarà inoffensiva, quindi tu e Sephora sarete liberi di raggiungere la porta”
Un sorriso malizioso del paladino contribuì a zittire lo studioso arcano, quindi questi mosse i primi passi verso il fondo della stanza. Il fulmine e l’ondata gelida lo investirono, lasciandolo indenne. Successivamente passarono il mago e la ragazza, senza che le magie si scatenassero su di loro, come aveva previsto Selthos.
 
“Sulla porta sta scritto:” lesse in fine Arkantor, allontanando i rancori e forse capendo di aver sbagliato a rimproverare il paladino “Luce lontana che mai abbandona, asciuga le lacrime di ogni pianto; luce che in fine ogni male perdona, dopo ogni sforzo anche se tanto; luce dorata che segue l’oscuro, duce alla fine ad un bene sicuro”
“Un enigma” fece Naoe incuriosito “ma per quale motivo hanno inciso questo enigma sulla porta?”
“La soluzione è la parola magica che apre la porta” rispose Selthos annoiato ad una domanda troppo ovvia.
“Questo lo so ma, voglio dire, perché ci forniscono la parola magica per accedere all’interno del loro castello?”
Claude intervenne nella discussione con tono serio e un po’ troppo pessimista: “Stanno giocando con noi”
“Speranza!” disse Sephora a gran voce sperando di aver risolto l’enigma e ottenendo nello stesso modo di zittire i compagni diffidenti. Le lettere dell’iscrizione si illuminarono e la porta cominciò a muoversi lentamente, ruotando di lato e lasciando libera la via dietro di essa.
 
Preso dall’entusiasmo il cantastorie corse verso l’apertura e la trappola fece nuovamente il suo effetto catastrofico. Quando si accorse dell’errore che aveva commesso era ormai troppo tardi e le fiamme lambivano già il suo fianco destro, mentre dall’altra parte si scatenava l’ondata di energia sonora che percosse il suo corpo spezzandogli le ossa. Il povero bardo roteò su se stesso e cadde pesantemente a terra, gli abiti e la pelle inceneriti dall’esplosione magica.
 
“Naoe!” Sephora fece per lanciarsi verso il compagno ferito ma il paladino la fermò appena in tempo. Quindi sbatté forte le ali ed attraversò con un balzo la stanza, facendo scattare ancora la trappola di gelo e quella elettrica, che non potevano nuocergli, e raggiunse il compagno a terra, quindi se lo caricò sulle spalle e corse di nuovo verso la porta, esortando anche il mago a seguirlo finché gli effetti magici erano ancora assopiti. Selthos non se lo fece ripetere due volte, ma nella fuga si curò di afferrare alcuni oggetti posti sugli altari dai quali erano scaturiti gli incantesimi. Raggiunti gli altri depositò a terra il lungo bastone bianco e una bacchetta magica che subito aveva attratto la sua attenzione.
 
“Naoe è in pericolo di vita e tu pensi ad arricchirti?” La paladina, che non era più in grado di utilizzare ancora la sua magia per guarire se prima non avesse riposato, lo squadrò con occhi colmi di lacrime, reputando l’atteggiamento del mago totalmente fuori luogo.
Ma questo era già pronto ad una domanda del genere: “Tieni questo” le porse il bastone “è uno Scettro della guarigione, curalo adesso!” Sephora rimase senza parole.
La magia del bastone non era molta, ma bastò a ripristinare gli organi feriti del bardo e a riformare le ossa e la pelle carbonizzata, con questa impresa ardita Naoe diede fine alla sua smisurata dose di fortuna: pochi secondi in più e probabilmente non ci sarebbe stato più niente da fare.