Il 5°Clone



La Ballata del Cammino Lontano



Dopo che gli umani sparirono dalla vista, la Madre Nera volse lo sguardo al goblin.
Questi cercò di assumere un’espressione migliore del sorriso ebete che aveva di solito e ghignò alla donna.
“Non sembri soddisfatta, Mater…!” Rantolò.
La Madre Nera si alzò dal masso di pietra cui era seduta e spostò lo sguardo lontano.
“Non lo sono, Bless.” Disse piano, con il tono di voce dolce, mellifluo, sirenico. “Quale regno andrò a controllare? Un regno dove i propri nativi vendono altri uomini per un po’ di potere…”
Il goblin si leccò le zannette che sporgevano dal labbro leporino.
“Eh! eh! Non è proprio un po’ di potere, Mater…chi ha tradito Dragon Gate avrà energia sufficiente per governare qualche altropiano lontano da qui…” gli occhi porcini del goblin luccicavano ancora. “Ma non è questo che turba i tuoi pensieri…”
Finalmente la donna, o almeno così si manifestava ai suoi schiavi, guardò Bless senza apparenti emozioni. “Uhm…mio fedele, umile Bless…troppo furbo e scaltro per essere un goblin…”
Bless s’inchinò goffamente. “E’ per questo che non mi avete ucciso, Mater! Io so servirti molto bene…e so che non basterà conoscere i passaggi segreti che conducono al Palazzo del Braccio di Vetro per avere in pugno Dragon Gate.”
La Madre Nera incrociò le braccia sottili dietro la schiena.
“No, infatti. Re Daimonos non è uno stupido, e le sue spie non sono pagate per poltrire! Qualcosa sa, qualcosa immagina…sa che una mano nera serve all’interno della sua servitù, e che non tutti i consiglieri di cui si circonda sono sinceri…ma se dovesse arrivare a scoprire dove è custodita la Lacrima degli dèi la mia vita non avrebbe più valore.”
“La Lacrima degli dèi è un gioiello, un ciondolo, non è così?”
Mater annuì lentamente, facendosi cullare dall’immagine del ciondolo che, pian piano, si andava ricostruendo nella sua mente. “Un gioiello, si…come non se ne trovano sul mondo conosciuto…lo stregone che s’illudeva di avermi al suo controllo lo costruì nella speranza di limitarmi, di soggiogarmi…”
“Ma… allora perché ti fa così paura?!”
“Perché, appena scoperto che avevo ben altri piani che non lo scaldare il suo letto e uccidere i suoi avversari, quel porco imprigionò una parte della mia anima nel ciondolo, e lo affidò ad un halfling perdigiorno che se ne fuggì a Nord. Quel ciondolo ha il potere di risucchiarmi in una dimensione infernale dalla quale non avrei speranza di tornare…”
“Uh!” Il goblin giocherellò con la sua bocca usando un dito adunco. “Ma perché non lo usò per scacciarti subito?”
“Non gliene diedi il tempo. Era già morente quando consegnò il ciondolo ad uno stupido mezz’uomo che passava casualmente davanti la sua finestra…non ci furono torture abbastanza atroci da indurlo a rivelare come distruggere l’incantesimo che il ciondolo conserva, e che nome avesse l’halfling che lo portò via…”
Bless si mise a sedere accavallando la gamba e poggiandoci un gomito sopra. “Chissà quel sorcio dove avrà portato il gioiello, Mater…perché preoccuparsene? Nessuno ne sentirà più parlare, e Dragon Gate sarà presto tua…”
La donna sorrise facendo qualche passo sui cadaveri di bambino che ricoprivano il pavimento. In un angolo della sala ve n’era qualcuno ancora vivo che frignava tentando di sgattaiolare via. Mater ne afferrò uno per il fianco, facendolo sanguinare a causa della stretta delle sue unghie lunghe e curate.
“Già…” mormorò mentre i suoi occhi si iniettavano di sangue. “Forse hai ragione Bless.” Addentò il bimbo sul capo. “Forse hai ragione”.
Il goblin bofonchiò qualcosa distogliendo lo sguardo dall’orrendo pasto, mentre la testa molle del bambino si frantumava come un frutto marcio.
“C’è altro che posso fare per te?” Il goblin aveva fretta di andarsene. Sentiva un gelo improvviso.
La Madre Nera si pulì le labbra cremisi con il dorso della mano. Il bimbo non si muoveva più. Sembrava una marionetta rotta. Lo gettò in terra. “Si.” Esclamò improvvisamente, “sono stanca di attendere. Gli uomini mi hanno portato sul loro mondo, gli uomini pagheranno ciò che va pagato! Conduci Lord Maystorm da me in nottata, Bless…il piano per far cadere il palazzo dell’imperatore va studiato adesso!”
Il goblin saltò giù dal marmo rovesciato e trotterellò verso l’uscita. Prima di imboccare la galleria che lo avrebbe portato su per le catacombe guardò un’ultima volta la nera signora, lieto di lasciarsi alle spalle quell’odore di putridume che regnava in tutto l’ambiente. Fuori, all’aperto, il Generale Inverno aveva appena vinto la sua battaglia con la stagione calda, e si preparava a regnare incontrastato…
La piccola mezz’elfo roteò la testa per avere una panoramica migliore della grande sala del trono che languiva silenziosamente insieme alle poche persone che la frequentavano al momento; Re Daimonos pareva una figura spettrale che la luce della luna sottolineava colpendolo dalla finestra cui stava davanti, guardava fuori con un polso curvo dietro la schiena, appena sopra l’osso sacro, e sembrava assente, come se un incantesimo lo avesse portato via, lasciando solo un vuoto e freddo involucro armato da guerriero. Occhiaie profonde ed un pessimo aspetto che un re, in altri tempi, non si sarebbe permesso. Appena un passo dietro di lui il Consigliere Butt, leggermente chino, le mani sfoggianti anelli runici ed una tunica elegante e spartana, stava con il volto affilato verso il re, attendeva un cenno, un’espressione diversa, un respiro. Accarezzò la barba ispida e lunga sul mento, poi guardò verso il largo portale che stava spalancato sulla parete est. La mezz’elfo sedeva dritta ed elegante sulla poltrona che un paladino si era prodigato di cercarle, chiamandola mille volte “milady”, “madonna” e “lady” e chinandosi decine di volte in segno di profondo e rigoroso rispetto. E così s’era seduta serena, attendendo, dopo il suo racconto al re, che gli eventi sbocciarono in qualche azione. Il re non l’aveva interrotta mai, neppure una volta, e l’arroganza di cui le avevano parlato doveva essere stata spazzata via, insieme ai fiori di lillà estivi. Aveva notato le rughe sulla fronte accentuarsi e piegarsi come ali di gabbiano di fronte alle pergamene che gli aveva portato per decifrare le visioni che aveva avuto nella sua Chiesa Shin, alle porte di Matùl, la capitale. Sembrava che il re sapesse. Sapesse già tutto. Di colpo l’aria di Dragon Gate s’era fatta difficile, cupa, pesante. Il comandante del corpo dei paladini di Dragon Gate, Gremanan il Temerario, se ne era stato zitto tutto il tempo della relazione, in piedi accanto alle statue degli eroi con l’elmo possente sotto il braccio e il mento alto. Apparentemente non aveva tradito nessuna emozione. Daimonos aveva infine mandato alcuni messaggeri, tanti messaggeri, lontano dal palazzo ognuno con diverse mappe e diverse indicazioni. La mezz’elfo sapeva che il re, da qualche parte, teneva dei magnifici pegasi grigi che aveva fatto volare raramente, e solo per un proprio sfizio personale, ma quella volta li aveva sentiti distintamente allontanarsi dal palazzo ad intervalli più o meno regolari. Erano usciti per uno scopo più preciso, più mirato: accompagnare i messaggeri e tornare nel minor tempo possibile.
Re Daimonos attendeva.


Per sapere come finisce il racconto, potete scaricarlo qui.

Buona lettura!

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