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Gocce di sangue blu

Altezzosi, prepotenti, vanesi e al comando nonostante non ne abbiano nessuna capacità e nessun diritto. Questa è l’immagine dei nobili che ci deriva da varie letture di libri e visioni di film, in cui l’aristocrazia è solo una terribile parodia di sé stessa assai dannosa per tutti coloro che le stanno attorno. Tuttavia spesso svalutiamo il portato di una cultura che si fonda sull’antiaristocraticismo e che considera la nobiltà solo per la fase finale di un tracciato storico europeo.

Cui si potrebbe aggiungere un assetto ulteriore. Quelle che abitualmente definiamo forme di governo democratiche sarebbero considerate aristocratiche da tutta la trattatistica politica antica. Infatti ciò che determina l’aristocrazia è che a governare siano i “migliori”, e il migliore viene scelto tramite un’elezione. In un luogo in cui a stabilire le caratteristiche del comando è la forza sarà eletto il più forte, in un contesto in cui viene privilegiata la capacità di ben vestirsi sarà scelto il più elegante, ove prevale la ricchezza sarà eletto il più ricco, se vale la povertà voteranno il più povero e in una situazione in cui è meglio l’uomo comune allora sarà avvantaggiato il più comune di tutti. La democrazia prevede invece una forma in cui tutti abbiano davvero le stesse possibilità, ossia il sorteggio. L’aristocrazia cui noi siamo abituati prevede che il più adatto sia colui che, grazie alla famiglia da cui proviene e grazie ad un’educazione ricevuta fin da bambino, possa essere migliore.

 

Un esempio molto noto di nobiltà viziata e malcresciuta.

 

Fin dal tempo dei greci la nobiltà troverà conferma in un’origine divina. Tutti i greci, come riporta Erodoto, si considerano discendenti degli dei con una distanza di una manciata di generazioni dal progenitore immortale. Varrà anche per i romani, dal momento che Giulio Cesare e Augusto sono discendenti di Venere, e succederà persino a Carlo Magno, di cui storici cristiani fanno risalir l’origine ad un dio toro marino, e accadrà lo stesso a vari nobili in tempi successivi, che useranno i demoni/spiriti per dare origine alle loro dinastie.

Tutta la nobiltà antica e medievale è insanabilmente guerriera. In un contesto in cui le armature costano e le armi pure, la forza del singolo diviene fondamentale, e la nobiltà viene seguita fintanto che rischia di morire in combattimento, e a far sorgere problemi ad Aristotele sarà proprio l’apporto dato dai marinai alla vittoria a Salamina, ove persone senza diritto di voto avevano salvato la Grecia tutta.

 

Col naso che mi ritrovo posso davvero passare per discendente della dea della bellezza?

 

Gli uomini ad Atene si sposavano da adulti con ragazze quattordicenni, e i veri uomini avevano due doveri: procreare figli con la propria moglie e partecipare a riti di omosessualità sociale all’interno del proprio gruppo familiare allargato di appartenenza (la fratria). Tali fratrie avrebbero poi costituito la base della falange oplitica, in cui ogni guerriero si trovava in fila coi suoi "parenti", in modo tale che fossero loro a sostenerlo e spingerlo avanti. Questi guerrieri avevano due compiti: gestire la loro casa (che include anche i campi, la servitù, i minatori) e continuare ad andare in palestra a formarsi per la guerra e per la competizione olimpica.

A Roma la grande tribù prende il nome di gens e fa esplicitamente parte dei nomi dei suoi appartenenti. Anche qui la guerra viene combattuta dai ceti alti, ma il quantitativo di censo posseduto corrisponde ad un determinato investimento bellico e alla posizione che si deve occupare durante lo scontro. Così i più ricchi devono comprare tutto l’equipaggiamento in bronzo, mentre man mano che il ceto scende gli acquisti diminuiscono. Allo stesso modo ad ogni classe di censo corrisponde un diverso diritto di voto: quando si elegge qualcuno la seconda classe (molto ricca) vota solo se la prima (la più ricca) non è riuscita a raggiungere un risultato, e via dicendo.

Un’altra fondamentale differenza tra greci e romani è la funzione del matrimonio. Per i secondi esistono sia un contratto di alleanza politica (marito e moglie) sia un contratto di affetto reciproco (gli amanti dell’uno e dell’altra). Gli amanti devono essere innamorati, il marito e la moglie no. Inoltre marito e moglie possono benissimo non aver mai concepito un figlio assieme, in un contesto in cui la discendenza passa per il solo riconoscimento paterno. Il bambino può essere benissimo adottato totalmente, o può essere figlio del solo padre o della sola madre e non interessa nulla a nessuno. Solo chi viene riconosciuto come figlio dal padre è ufficialmente figlio della coppia, indipendentemente dal quantitativo di sangue effettivamente trasmessogli dai due. Un contesto simile consente agli uomini e alle donne di avere secondi e terzi mariti (e seconde e terze mogli), confondendo incredibilmente gli alberi genealogici e consentendo ai nobili romani di essere tutti parenti tra loro.

L'ideale romano di nobiltà è assai morigerato, eppure la romanità tutta nella sua storia tratta questo argomento come se appartenesse ad un passato ineguagliabile (probabilmente mai esistito). Accanto al rimpianto per gli effetti delle conquiste v'è anche un'attrattiva costante e mai completamente rinnegabile nei confronti dello sfarzo orientale e di determinati lussi, aborriti dai senatori e dagli storiografi, tanto che ogni imperatore "orientaleggiante" ha finito per esser sottoposto alla damnatio memoriae perpetua, fosse egli Nerone, Caligola o Eliogabalo.

 

Banchettare di continuo non ti rende un nobile. Sono i muscoli d'acciaio, i pastoni iperproteici e i livelli da guerriero!

 

Pur ormai desueta sotto vari aspetti, la definizione per cui il medioevo si forma tramite i costumi dei barbari mitigati dal cristianesimo ha ancora un suo valore. E infatti barbara è l’origine dei paladini, ove la tematica del voto deriva da un contesto selvaggio, ma acquisisce allineamento legale buono e forza sacra grazie al legame divino e alla sacra missione trasformatasi in eroiche imprese, compiute non più solo per sé stessi ma anche per un fine più alto. Realtà o finzione? Più un ideale, che fa sì che i nobili veri alternino eroiche imprese e devote penitenze a massacri e turperie senza fine, mentre le due cose si mescolano senza particolari problemi. Un altro connotato dei barbari permane nei paladini e nei cavalieri: la possibilità di agire in base a scoppi emotivi incontrollati, in un contesto in cui la politica non dipende dal calcolo e dall’astuzia.

Il nobile guerreggia e se vuol mantenere le sue terre deve saper anche combattere, per difendere sé stesso e i suoi. Così si inizia ad apprender l’uso della spada all’età di cinque anni, e si impara a cavalcare cominciando a dieci. Come prima fu detto in tutto ciò non svanisce l’aspirazione a trovar conferma della propria discendenza in qualche figura, e quando le sante caste e i santi astinenti  non forniscono appigli interessanti allora è utile riferirsi a qualcun altro. Può esser la Melusina (qui i dettagli). Può essere Ruggero, l’incredibile guerriero musulmano discendente di Ettore in persona e convertitosi al cristianesimo, capostipite degli Estensi. Può essere uno dei tanti paladini di Carlo Magno, possibilmente quello a cui fu affidata l’Italia in particolare e che giustificherebbe l’una o l’altra dinastia italiana ad ambire al trono d’Italia, ragion per cui molti stemmi vengono convertiti in cervi (simbolo carolingio) a questo proposito. Oppure, se non va bene Carlo Magno, si possono ricollegare le proprie origini a qualcun altro: a Verona lo fanno coi longobardi, il cui re era stato sepolto sotto una scala (da cui gli Scaligeri) e che tenevano nei loro ranghi uomini dalla testa di cane (e così tutti i membri di questa famiglia cominceranno a chiamarsi Can Grande, Can Mastino e Can Signorio).

Il medioevo finisce non solo quando ormai i valori di cavalleria stanno perdendo di significato, ma quando le armi da fuoco cominciano a rendere meno utili le armi e le armature, passando man mano da un esercito di guerrieri di alto livello ad un esercito di combattenti armati di fucile…

 

Sotto ogni scintillante armatura paladinica si cela un barbaro la cui ira è stata solo spostata verso nuovi obiettivi...

 

L’immagine che ci arriva dell’aristocrazia è figlia della propaganda rivoluzionaria francese e russa. Conviene dunque vedere cosa sia accaduto alla Francia negli ultimi secoli di monarchia. L’innovazione principale si svolge ai tempi del Re Sole. Luigi XIV era incompetente sotto vari punti di vista: sapeva a malapena leggere e scrivere, e, da giovane, finito in una fontana del suo stesso palazzo dopo essersi perso, non era stato più in grado di uscirne. Tutti i suoi gradi si erano condensati in un’unica abilità: il pettegolezzo. Sapeva i nomi, i cognomi, le amanti, i gusti nel vestire, le abitudini e quant’altro di ogni uomo che risiedesse a Versailles, dai principi ai servitori. Ciò significa che il re era in grado di organizzare la sua corte tramite doni e regali, che grazie alle sue conoscenze e alla sua memoria sapeva fare nei modi più adatti: il mobile che il destinatario desiderava di più ad un appassionato di mobili per dimostrargli la buona disposizione del re o il mobile di un altro tipo che la stessa persona detestava per dimostrare il contrario.

Questo meccanismo finirà per inceppare la nobiltà in Francia. Sia perché viene a generarsi un sistema in cui ciascuno è prigioniero in un immobilismo da cui dipende il suo grado e che quindi non è suscettibile a modifiche. Una regina tentò di cambiare l’ordine dei convitati a tavola ma da quella disposizione provenivano il rango e il grado di ciascuno, e quindi ricevette solo dure proteste. Un principe francese, riunito in riunione militare in un accampamento con un re inglese e dei cavalieri tedeschi, di fronte allo stupore di tutti i presenti, pretese di mangiare col solo re e volle a tutti i costi che i cavalieri mangiassero solo dopo che il primo pasto fosse stato consumato, perché dal suo punto di vista mangiare coi cavalieri avrebbe fatto sì che il suo grado fosse assai più simile ai secondi che al primo. In più questo meccanismo costringe a fare sempre più acquisti per rimanere al passo con gli altri a fronte di una rendita terriera i cui guadagni sono purtroppo fissi. Così, pur di rimanere all’interno della corte molti svendettero tutto, fino a dover vendere lo stesso titolo per sopravvivere.

 

Ricordo di aver sentito dire tre anni fa dalla cameriera della sua cugina di diciottesimo grado che l'utente che sta leggendo questo articolo è un appassionato di prime edizioni di Dungeons and Dragons. In base a ciò che mi ha riferito l'ospite di una cena indetta dalla cugina di sua moglie ha tutta la White Box eccetto un dado specifico. Io lo ho, ben conservato, con sopra l'impronta digitale di Gary Gygax in persona. Se dovesse farmi felice potrei fargli un dono...

 

L’incipit è tratto da Bernard Manin, La democrazia dei moderni, Anabasi, Milano 1992.

La parte sui greci e sui romani deriva da appunti di lezioni.

La citazione con cui inizia la parte sul medioevo è tratta da Lo spirito delle leggi di Montesquieu, mentre un ottimo esempio di cambio di stemma deriva dal De viris illustribus familiae Transegaldorum Forzaté et Capitis Listae.

Per il passaggio dal medioevo all’età moderna consiglio un’opera fondamentale, L’autunno del Medioevo di Huizinga. Per l’analisi della tematica della nobiltà consiglio in particolare i capitoli 4-7 (pagine 85-130 dell’edizione Newton Compton).

Chi desiderasse approfondire al meglio, fase per fase, tutti i mutamenti intervenuti sull’aristocrazia tra età moderna e contemporanea consiglio Mario Domenichelli, Cavaliere e gentiluomo – Saggio sulla cultura aristocratica in Europa (1513-1915), Bulzoni Editore, Roma 2002.

L’ultima parte invece deriva dalla lettura di un altro classico, fondamentale per comprendere la corte del Re Sole: Norbert Elias, La società di corte, Il Mulino, Bologna 1980.

Commenti   

 
# Luskark 2016-10-11 21:38
Per richieste di chiarimento usate pure il topic apposito
 

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